Processo Civile Telematico: rimessione in termini in caso di errori nel deposito?

20 novembre 2015

Il Processo civile telematico fa paura – è inutile negarlo – perché, alle già tante cause di decadenza improcedibilità previste dal codice di procedura civile per motivi formali, ne aggiunge – di fatto – delle nuove, condizionate ad errori materiali (si pensi all’errata indicazione del numero di RG) o al mancato rispetto di regole tecniche in continua evoluzione, che non tutti sono in grado di digerire con la dovuta celerità. Peraltro, gli indirizzi giurisprudenziali sorti all’alba dell’introduzione del nuovo processo telematico non lasciano margini di manovra e dimostrano un’intransigenza totale di fronte anche ai più piccoli errori degli avvocati. Se a ciò si sommano le difficoltà materiali collegate alla connessione a internet (non tutti gli studi hanno linee super veloci), agli strumenti meccanici non sempre performanti (computer obsoleti, chiavette con la firma digitale che talvolta si smagnetizzano, ecc.) e ai differenti protocolli delle cancellerie è intuibile il disappunto della categoria verso un mezzo che, invece, prometteva di accelerare i tempi.

 

Rimessione in termini

Il problema è strettamente collegato alle numerose cause di decadenza per mancato rispetto dei termini processuali, previste dal nostro codice in un’epoca in cui tutto ciò che, invece, si chiedeva all’avvocato era di recarsi in tribunale con i fogli di carta. Dall’altro lato, i giudici hanno sempre dimostrato una forte ostilità a concedere la rimessione nei termini, specie in ipotesi non tipizzate dal codice.

Come si concilia tutto ciò con il processo civile telematico? Esemplificative sono due ordinanze, rispettivamente del tribunale di Milano [1] e di Pescara [2] che qui di seguito illustreremo.

 

Il Tribunale di Milano

Di recente, il Tribunale di Milano, con una ordinanza dello scorso 8 ottobre [1], ha affrontato il delicato problema della rimessione in termini nel processo civile telematico in caso di errori nel deposito.

 

Il caso è quello di un avvocato che, sostenendo di aver effettuato regolarmente il deposito di un atto tramite PCT, e tuttavia non trovando l’allegato nel fascicolo telematico, chiedeva al giudice di essere rimesso in termini per il deposito in forma cartacea. A prova del regolare adempimento esibiva però solo le prime due PEC inviate dal sistema: quella con attestazione della presa in consegna dell’invio della busta e quella, successiva, della prova dell’avvenuta consegna al sistema centrale; veniva però omessa la produzione della terza – e forse più importante – delle tre comunicazioni: quella inviata dalla cancelleria del tribunale con cui si attesta la regolarità del deposito. Pertanto il giudice, ritenendo suddetta comunicazione essenziale, non autorizzava la rimessione in termini, ritenendo che – sulla base degli elementi ricavabili dalla ricevuta di consegna e dalle deduzioni a verbale, non vi fosse modo di escludere che la causa del rifiuto del deposito fosse imputabile all’avvocato depositante.

 

La questione pone un problema di ordine generale: quella dei casi in cui il deposito non viene accettato non per un errore tecnico che generale l’irricevibilità da parte del sistema, ma per una valutazione discrezionale del cancelliere che però, così facendo, si sostituisce al giudice. A riguardo una circolare ministeriale raccomanda alle cancellerie di non effettuare valutazioni sulla ricevibilità o meno degli atti e di demandare il compito al giudice: cosa che non sta avvenendo. La forte critica è che gli impiegati degli uffici giudiziari stiano travalicando le funzioni e poteri loro affidati.

 

Sempre la circolare del Ministero della Giustizia [3] opera un importante distinguo stabilendo la possibilità dei cosiddetti errori “forzabili” dalla cancelleria. Viene infatti disposto che le cancellerie, in presenza di anomalie del tipo WARN o ERROR, dovranno sempre accettare il deposito, avendo cura, tuttavia, di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata.

 

Proprio per questo genera perplessità il diniego di rimessione in termini che il giudice di Milano decide solo per via del mancato deposito della PEC attestante l’intervento manuale del cancelliere (dalla quale, secondo il giudicante, si evincerebbe il motivo del mancato inserimento della memoria nel fascicolo telematico, per comprendere se dipenda tanto un errore dell’avvocato nella compilazione dei dati essenziali della busta telematica o da un errore imprevisto dovuto ad un malfunzionamento del sistema informatico ministeriale).

 

Peraltro lo stesso codice di procedura civile [4] prevede che il cancelliere possa rifiutare il deposito, solo quando il deposito stesso manchi di uno degli atti giudiziari di parte o qualora la comparsa sia scritta in carattere poco chiaro e non facilmente leggibile.

 

Il tribunale di Pescara

Di segno opposto l’ordinanza del Tribunale di Pescara [2] secondo cui è legittimo rimettere nei termini l’avvocato che depositi la propria memoria in un fascicolo errato e si veda recapitare, ben oltre il termine di scadenza, un messaggio di rifiuto da parte della cancelleria.

 

In via prudenziale il consiglio è quello di accertarsi sempre tempestivamente dell’esistenza di eventuali anomalie nei depositi telematici, non lasciando trascorrere troppo tempo prima di chiedere eventualmente la rimessione in termini. Muovendosi per tempo, l’avvocato potrà provvedere anche all’integrazione della documentazione, demandando alla cancelleria le verifiche di cui sopra. Certo è che, così facendo, i famosi termini processuali vengono ridotti ulteriormente, a tutto discapito di una buona difesa.

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